La sfida dell’economia circolare nel settore del tessile

I nuovi paradigmi: riuso e riciclo, energie rinnovabili e trasformazione degli scarti in risorse ...


Il settore del tessile è una delle industrie più inquinanti a livello globale. Basato su una filiera lineare prevede la continua estrazione di materie prime: un modello di business ormai insostenibile a livello climatico, ambientale e sociale. Secondo il report dell’European Environment Agency, il settore tessile è al quarto posto per impatto ambientale e cambiamento climatico, al terzo per consumo di acqua e suolo e al quinto in termini di uso di materie prime e di emissioni di gas serra.

Per limitare l’impatto del comparto è necessaria una inversione di rotta in chiave circolare che consideri gli scarti come risorsa e preveda logiche di riuso e riciclo.

 

Impatto ambientale del settore tessile

Annualmente vengono prodotte 53 milioni di tonnellate di fibre destinate all’abbigliamento, di cui solo l’1% è riciclato a ciclo chiuso, l’87% dei vestiti a fine vita finisce infatti in discarica o viene incenerito.  

La Ellen MacArthur Foundation pubblica periodicamente degli studi sul mondo del tessile. Ogni anno, secondo le recenti indagini, l’industria tessile fa uso di più di 98 milioni di tonnellate di risorse non rinnovabili come il petrolio per produrre le fibre sintetiche, i fertilizzanti utilizzati nelle piantagioni e i prodotti chimici per produrre, tingere e rifinire fibre e tessuti. Solo il 20% delle materie prime sono prodotte o estratte in Europa il resto proviene da paesi terzi, quindi l’80% degli impatti ambientali generati dal consumo in Europa si verifica al di fuori del continente.

Per le coltivazioni tessili sono poi utilizzati circa 93 miliardi di metri cubi di acqua e riversate negli oceani 500 mila tonnellate di fibre di microplastiche. Microplastiche primarie, che possono finire nella catena alimentare a livello globale, sono rilasciate anche nell'ambiente. Per quanto riguarda il consumo di suolo, la catena di produzione ne utilizza circa 180.000 chilometri quadrati all’anno, di cui solo l’8% in Europa. Più del 90% del consumo di suolo avviene al di fuori del continente, soprattutto in Cina e India.

Il comparto è poi responsabile dell’emissione di circa 1.2 miliardi di tonnellate di CO2, di questi 50% è attribuibile ai vestiti il 30% al tessile e il 20% alle calzature, rendendolo il quinto settore responsabile dei cambiamenti climatici dopo l’abitare, l’alimentare, la mobilità e la cultura.

Da non sottovalutare poi gli effetti sociali negativi prodotti dall’industria tessile, tra cui lavoro minorile o in condizioni di schiavitù, basse retribuzioni e orari di lavoro fuori dalle normali convenzioni.

 

Cardini dell’industria tessile sostenibile

Sostituire il modello di business lineare tipico del comparto tessile con quello circolare permette di limitarne l’impatto su tutti i fronti da quello ambientale a quello sociale e climatico.

I principi di economia circolare applicati al tessile permettono di limitare la produzione degli scarti perché i rifiuti tessili vengono trasformati in risorse preziose. Rispetto all’utilizzo di sostanze dannose, viene favorito l’uso di risorse rinnovabili evitando anche il rilascio di microfibre nei mari e nell’ambiente. Utilizzare materiale riciclato e prodotti chimici sicuri e materiali biodegradabili diversificati permette poi di ottimizzare l’uso di acqua ed energia e ridurre le emissioni climalteranti.

I capi di abbigliamento prodotti in chiave circolare sono pensati per durare a lungo. Si sviluppano quindi nuovi modelli di servizio incentrati sulle pratiche di riparazione e riutilizzo per prolungare la vita dei capi oltre il primo acquisto ed evitare la loro dismissione. Il riciclo permette poi di recuperare le fibre e riutilizzarle per la produzione di nuovi prodotti (materie prime seconde).

Per cambiare la filiera del tessile in chiave green è necessario anche sensibilizzare l’utente finale con campagne ad hoc e renderlo sempre più consapevole ad esempio attraverso l’uso di etichette che garantiscano informazioni veritiere e rilevanti, anche riguardanti, ad esempio, la durata media dei prodotti.

 

Esempi virtuosi

Molte sono le aziende impegnate in applicazioni virtuose dei principi dell’economia circolare che si dedicano alla trasformazione degli scarti, sia delle produzioni tessili che di altri comparti come il food, per realizzare nuovi prodotti. È il caso della pelle vegetale realizzata dagli scarti della produzione vinicola, come le fibre e gli oli vegetali presenti nella vinaccia oppure i filati realizzati dagli scarti delle produzioni agrumicole o il nylon realizzato partendo dal riciclo di rifiuti raccolti in mare.